lunedì 25 ottobre 2010

Un canadese che fa male

Grande scompiglio hanno creato le parole pronunciate ieri dall'A.D. del gruppo FIAT Sergio Marchionne, intervistato durante la trasmissione televisiva "che tempo che fa" (qui l'intervista a marchionne).
Il dirigente del gruppo torinese ha infatti esternato una dura dichiarazione dicendo che "senza l'Italia faremmo meglio".
Le reazioni sono state di una unanime contrarietà, tra chi lo accusa di mancanza di riconoscenza, chi di comportarsi da straniero e chi lo invita ad andarsene dall'Italia, per togliersi dalle scatole.
Questi populismi gratuiti, però non servono a niente, questa è la realtà oggettiva dei fatti, è inutile girarci intorno.
L'Italia non è produttiva e Marchionne è un manager, non il presidente di una ONLUS.
Perché mai un'azienda dovrebbe decidere di spostare la produzione in Italia, quando un lavoratore italiano guadagna 3 volte quello che guadagna un polacco (non un serbo, un moldavo o un cinese, ancora più economici), quando la qualità della produzione italiana non sempre è superiore a quella dei paesi emergenti, quando in Italia ci  sono i diritti?
Forse vi sembreranno strane queste parole pronunciate da un simpatizzante della sinistra e quindi strenuo difensore dei diritti dei lavoratori. Ma la realtà non conosce schieramenti politici e la rabbia è grande, perché, di fronte ad una simile provocazione, si pensa solo a fare i populisti, per catturare simpatie e consensi.
Il problema è che va modernizzato il sistema, l'Italia deve ritornare competitiva in modo che la Fiat (e non solo) torni in Italia per convenienza e non per costrizione o per altri motivi.
Sindacati e partiti politici devono interrogarsi su come rendere competitiva l'Italia, senza toccare diritti (e stipendi) dei lavoratori. Possibili soluzioni? Investire sulla qualità.

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